Angry Birds: la storia di un grande successo

La storia di uno dei giochi più scaricati di sempre e di un successo che non si limita ai videogiochi

Andrea Pastore 21/04/2014 0

Angry Birds è uno dei giochi più popolari usciti per smartphone, scaricato oltre un miliardo e mezzo di volte dagli utenti ios, android, windows phone e molte altre piattaforme. La sua storia è un ottimo esempio di sviluppo commerciale di un marchio che va ben oltre il videogioco stesso.

 Le origini

Angry Birds venne pubblicato sull'app store di ios a fine 2009 da Rovio, una software house finlandese all'epoca poco poco conosciuta, che lo aveva sviluppato in sei mesi nei ritagli di tempo, dato che in quel periodo produceva videogiochi per terzi.

 

Il successo

All'inizio il gioco venne ignorato, non è facile farsi notare in un mercato con migliaia di titoli. Occorreva una strategia di rilancio, Rovio decise di concentrarsi su piccoli mercati e lavorare per per portare il loro gioco in cima alle classifiche. Cosa ancora più importante, si rivolse a Chillingo, un publisher che aveva pubblicato diversi giochi nell' App store e che grazie ai suoi buoni rapporti rapporti con Appleriuscì a far pubblicizzare il gioco sulla prima pagina dell'app store inglese. In pochi giorni l'applicazione divenne la più scaricata del Regno Unito, poi anche degli Usa e così via, fino a raggiungere il successo planetario anche grazie alla realizzazione delle versioni per gli altri sistemi operativi.

 

Oltre il videogioco

Sull'onda del successo sono stati sviluppati sempre nuove versioni del gioco, ma è molto interessante lo sfruttamento del brand fuori dagli schermi di tablet e smartphone: Rovio ha creato una vasta gamma di prodotticollegati algioco, che va dai pupazzi degli uccelli all'abbigliamento e a molti altri accessori. Non è finita qui: è stata prodotta una serie animata e in un parco di divertimenti della Finlandia è stata inaugurata una sezione chiamata Angry Birds land, interamente dedicata agli uccellini arrabbiati.

 

Non c'è che dire, proprio un successo straordinario, dovuto indubbiamente alla buona idea ma anche alle giuste scelte di marketing, riviste nel migliore dei modi quando all'inizio il gioco stentava a decollare.

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Un'intuizione semplice e geniale

Tutto nasce nel 2009 per via di un taxi che tardava ad arrivare: Garret Camp e Travis Kalanick, si trovavano ad una conferenza a Parigi e all'uscita dall'evento non c'erano taxi disponibili. Mentre aspettavano guardando il via vai delle macchine di passaggio, si chiesero quante automobili di quelle viste fino a quel momento erano dirette nella stessa loro direzione e a quanto sarebbe stato utile un'app che mettesse in comunicazione i guidatori con chi non è automunito. La risposta fu semplice: dopo poco nacque Uber, un’applicazione per mettere in contatto automobilisti e passeggeri. Ognuno di noi può diventare un Uber e guadagnare offrendo un servizio di trasporto passeggeri con la propria auto. Se prima prenotare un taxi voleva dire contattare il centralino, aspettare che il tassista partisse dal deposito taxi o dall’altra parte della città e raggiungesse casa nostra, aspettare l’accensione del tassametro e a fine corsa corrispondere un compenso, con Uber tutto è prenotabile tramite app: con la geolocalizzazione l’azienda invia l’auto a noi più vicina e i pagamenti vengono fatti in automatico tramite un primo inserimento dei dati della prepagata in piattaforma o sul cellulare senza dover pagare l’autista a fine percorso.

I primi problemi con il trasporto tradizionale

L’azienda Uber non si chiamava così ai suoi esordi: di certo l’idea iniziale di soprannominarlo UberCab non aiutava a tranquillizzare i tassisti, così venne cambiato e ridotto in Uber nel 2011. Ma il problema del nome sarebbe stato del tutto relativo: difatti si stava per abbattere una vera e propria tempesta sul monopolio del servizio taxi e Uber già si prospettava rappresentante di un vero oltraggio alla professione del tassista. Persino l’investimento iniziale non lasciava presagire il successo che avrebbe poi fatto negli anni successivi: con “soli” 250 mila dollari ha realizzato un patrimonio di circa 65 miliardi ed ha subìto trasformazioni e collocazioni in altri settori del mercato. Effetto domino garantito, perché a sceglierlo sono stati molti paesi, tra i quali anche l’Italia. Il Belpaese, nella fattispecie, gli ha però riservato un benvenuto per niente facile a livello normativo. Approdato nel 2013, con sé ha portato un vero e proprio terremoto legislativo nell’ordinamento italiano. UberBlack, che a differenza del precedente sistema era un servizio che riconosceva agli autisti Uber autorizzati la facoltà di eseguire il servizio di trasporto, richiedeva come requisito essenziale la regolare licenza NCC. Con il passare dei mesi, però, per Uber si presentò un ulteriore impedimento che minò considerevolmente la sua legittimità ad operare come servizio alternativo al trasporto taxi. A differenza dei conducenti NCC, UberBlack non rispettava l’obbligo di rientro in rimessa al termine del servizio. Per tale motivo, nonostante la legge fosse dalla sua parte, UberBlack fu considerato abusivo nel Comune di Milano e non solo. UberBlack è stato l’unico servizio permesso dalla normativa italiana ad essere operativo sul territorio, negli altri paesi le evoluzioni di Uber, ovvero UberPop e UberX hanno valicato i confini dell’Europa e non solo.

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